Nei primi anni ‘80 l’Europa era divisa in due blocchi, ovest ed est, il commercio di calzature avveniva quasi esclusivamente nell’Europa dell’ovest. I mercati principali dei produttori italiani, oltre a quello interno, erano Germania e Francia. I maggiori produttori di calzature erano in Italia Germania, Francia, e Spagna.
L’Italia ha sempre beneficiato della svalutazione della lira per essere competitiva sui mercati esteri. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, la grande distribuzione che ha sempre cercato la qualità e soprattutto il prezzo, ha costretto tante aziende italiane ad aprire filiali nei paesi dell’Est, dove i salari in quel periodo erano molto bassi.
I margini derivanti dai prezzi più bassi per il calo del costo della manodopera venivano drenati come sempre dalla grande distribuzione. Il sistema ha funzionato fino all’anno 1995, quando avvenne l’apertura del mercato mondiale al commercio WTO, per essere poi ulteriormente colpito nell’anno 2002 dal passaggio delle varie valute europee all’Euro.
Questi due avvenimenti hanno incominciato a mettere in crisi il settore produttivo calzaturiero in Europa. La grande distribuzione, che ancora una volta cercava prezzi ancora più bassi, iniziava ad acquistare le calzature prodotte in Estremo Oriente: manodopera e componenti erano estremamente più economici dell’Europa, obbligando il settore produttivo europeo a dei cambiamenti epocali, si doveva dunque prendere delle decisioni importanti.
“L’Europa è sempre in prima linea quando c’è da regolamentare auto, sostenibilità, intelligenza artificiale, ecc. Sembra che il settore manifatturiero abbigliamento e calzature non interessi a nessuno: “può anche scomparire” afferma Elvio Silvagni.
“Ora ha ragione Trump: per regolamentare il commercio e salvare tante aziende di abbigliamento calzaturiere europee bisogna mettere dei dazi al 30-40%. Non possiamo permetterci di far arrivare prodotti senza alcun dazio da tante nazioni. Si stanno aggirando le leggi. Il maggior produttore di componenti mondiali li manda in altre nazioni, le più sottosviluppate, dove il costo del lavoro è irrisorio, così queste nazioni possono rimandare in Europa bypassando anche i minimi dazi esistenti. La commissione europea è “ceca”.
Continua Silvagni: “La Silver 1 ha resistito piuttosto bene adottando due soluzioni vincenti: innovazione e pubblicità. Ma non è questo il punto. È l’intero sistema che sta subendo i cali di produzione. La filiera è sotto pressione ed è a rischio. Se perdo un fornitore, ho meno capacità di innovare ed è una sconfitta per tutti”.
Il segmento medio-alto sempre più minacciato dalle produzioni asiatiche a basso costo. “La soluzione è imporre dazi per compensare il divario del made in Far East, che costa il 30-40% in meno, rispetto a quello prodotto in Europa. E quando la capacità di spesa diminuisce a causa della pressione inflazionistica, e il consumatore vuole spendere meno, il prezzo diventa importante. Sembra che l’Europa resti a guardare le aziende del settore che chiudono”.
Silvagni produce in aziende proprie anche all’estero, in Slovacchia, Albania e Romania, e conferma come il costo di produzione all’estero sia in crescita: “I giovani vanno a caccia di offerte più remunerative e i calzaturifici devono alzare il livello dei salari per avere a disposizione forza lavoro. In Slovacchia si è insediata l’industria automotive, che ha sempre avuto contributi e incentivi in Europa nei momenti di crisi, e può benissimo offrire contratti di lavoro più vantaggiosi rispetto al calzaturiero. Per cui se vogliamo trattenere e attrarre personale dobbiamo migliorare la nostra proposta. Con i costi che crescono” spiega Silvagni. Che poi prosegue. “Made in Italy? C’è ancora? Trovare un’azienda di una certa dimensione che produce tutto interamente in Italia è molto molto difficile” precisa.
“Mio malgrado sono stato costretto a far produrre calzature nel Far East, quando era la politica che avrebbe dovuto regolamentare la questione. Un bravo imprenditore si deve sempre adeguare alla realtà. L’Italia è formata da piccole aziende che sono sempre più in difficoltà ad emergere su un mercato che richiede, viceversa, dimensioni sempre più grandi” osserva lo stesso imprenditore.
Che anche per questo vede un 2025 molto difficile per il comparto. E il gruppo Silver1? “Cerchiamo di tenere testa al mercato”.
24 Febbraio 2025