Silvagni, Valleverde: tassa del 20% su prodotti Usa fatti in altri Paesi
«Sveglia Europa». La campagna di sensibilizzazione avviata sui media da Elvio Silvagni — imprenditore alla guida del gruppo calzaturiero Silver 1, che detiene la proprietà di noti marchi tra cui Valleverde, Rafting Goldstar e Biomodex — punta a sollecitare l’opinione pubblica e i vertici dell’Ue sui temi del declino di settori importanti della manifattura. «Sono un imprenditore calzaturiero ed è sulle problematiche del mio comparto che posso intervenire», spiega Silvagni. «Parliamo di un settore che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso occupava decine di migliaia di addetti e aveva in Lombardia un distretto di eccellenza nell’area di Vigevano».
Tempi passati. Le aziende calzaturiere, da almeno 20 anni sono entrate in un cono d’ombra denuncia Silvagni. Il gruppo Silver 1 ha registrato un fatturato di 32 milioni di euro nel 2023, un valore sceso a 30 milioni nel 2024. «La crisi innescata dagli annunci dei dazi all’importazione negli Usa richiede una risposta. Faccio una proposta: introdurre una tassazione al 20% sui prodotti Usa che vengono realizzati in Paesi terzi, spesso asiatici, dove prevalgono condizioni di lavoro e salari che sarebbero inaccettabili qui in Europa, con incentivi alle esportazioni e altre pratiche di vera e propria concorrenza sleale che danneggiano le aziende europee». Detto in altri termini l’idea è quella di applicare un dazio aggiuntivo, ad esempio del 20%, a tutte le merci che le aziende americane, o riconducibili a una casa madre americana, fanno arrivare in Europa. Un dazio che viene interamente annullato se l’azienda americana produce effettivamente negli Stati Uniti. «Se un noto marchio americano di calzature sportive continua a farci arrivare le calzature da paesi come il Vietnam, il Bangladesh o l’Indonesia, produttori a basso costo, scatta un sovradazio del 20%. Se i prodotti arrivano e sono fabbricati negli Stati Uniti nulla, e così via».
L’idea di Silvagni è dunque quella di raccogliere il guanto di sfida che proviene dall’introduzione dei dazi Usa, ma guarda in realtà a dinamiche competitive che hanno a che fare con la deindustrializzazione e il declino di interi settori originati dalla globalizzazione. La minaccia principale nel settore calzaturiero proviene dal Far East. «Le scarpe prodotte in Cina sono sottoposte a un dazio del 17% se sono in materiali sintetici e del 4% se in pelle. Anche le calzature prodotte in India pagano un 4% all’importazione. Ma adesso la Cina sta dislocando le produzioni verso le economie emergenti a dazio zero. Non è più accettabile», conclude l’imprenditore. Tanto più che al problema del basso costo delle produzioni asiatiche si aggiunge la debolezza del dollaro (e di converso il rafforzamento dell’euro) che in questi mesi ha fatto aumentare di circa il 10% il prezzo dei prodotti europei sui mercati terzi. «Noi e i nostri fornitori stiamo attraversando difficoltà crescenti e occorre spezzare questa spirale».