Il Signor Valleverde: «Non temo i dazi ma la concorrenza del mondo asiatico»

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Il numero uno di Silver1, Silvagni: “Calzature, tessile e moda in difficoltà, impossibile competere sui prezzi. La globalizzazione è finita, occorrono norme per proteggere i settori più fragili”

Imprenditore a capo del Gruppo Silver1, attorno al quale ruotano i marchi di calzature Valleverde, Rafting Goldstar e Biomodex, Elvio Silvagni da mesi mette in guardia Governo ed Europa sulla grave crisi e sulle pesanti ripercussioni che, tra il ciclone delle produzioni asiatiche a basso costo e la tempesta dei dazi di Donald Trump, stanno colpendo il settore calzaturiero (e non solo) italiano.

Intraprendente e volitivo, Silvagni non ha intenzione di mollare il colpo: in prima linea più agguerrito che mai, chiede «politiche europee più efficienti volte a regolamentare, tutelare o perlomeno salvare le imprese italiane e i prodotti di qualità», come dichiara a gran voce in questa intervista.

Signor Silvagni, cosa teme di più: dazi americani o produzione asiatica low cost?

«Senza dubbio la produzione asiatica. Rappresenta una minaccia, per non dire il grande male, per il settore manifatturiero italiano ed europeo. Dal calzaturiero, al tessile, alla moda, nessuno può competere con un divario di prezzi così alto. In Oriente, con la Cina che la fa da padrone, manodopera e produzione, ma anche materie prime ed energia costano il 30-40% in meno. È una battaglia persa in partenza, senza l’intervento di politiche e istituzioni».

Però anche le sue aziende lavorano laggiù, no?

«Mio malgrado sono stato costretto a produrre nel Far East, ma non avevo e non ho scelta finché – ripeto – politiche e istituzioni non intervengono nel regolamentare la questione. L’Europa si deve svegliare e muovere. Si deve, soprattutto, rendere conto che l’intero sistema sta subendo cali di produzione. La filiera è sotto pressione e a rischio. Ribadisco che il segmento medio-alto e quello del lusso sono sempre più minacciati dalle produzioni asiatiche a basso costo».

Quale contromisura efficace suggerisce?

«La soluzione potrebbe essere imporre dazi in Europa nei settori più in difficoltà per compensare il divario del made in Far East. La globalizzazione è finita, e l’Europa deve farsene una ragione, invece di stare a guardare le aziende chiudere, invece di adoperarsi per proteggerle e salvarle».

Per questo ha scelto come claim della sua ultima campagna pubblicitaria «Sveglia Europa»?

«Sì. In “Sveglia Europa” sintetizzo la mia protesta che, senza colori e posizioni politiche, vuole spingere l’Europa ad agire per proteggere il made in Europe».

Tutto tace o qualcuno risponde?

«Per ora tutto tace, e non è questo il caso del “chi tace, acconsente”, purtroppo».

Parla sempre di made in Europe e mai di made in Italy…

«Di made in Italy vero ce ne è sempre meno, posto che ce ne sia ancora. È già tanto che sopravviva il made in Europe».

Protesta e rassegnazione convivono nella sua posizione…

«La realtà europea non mi dà alternative. Basti pensare che da quarant’anni lavoro nel campo e non ho mai visto un incentivo, dicesi uno, a favore di moda e calzature. In compenso ho assistito a grandi manovre per spingere le vendite di frigoriferi, lavatrici, finestre e automobili».

Sul fronte dazi americani, quali le sue previsioni?

«Ci saranno ripercussioni, ma non biasimo Trump per la scelta. A livello del mio Gruppo, il contraccolpo sarà indiretto, passerà per la Cina. Mi spiego. La mia azienda non vende in USA, ma principalmente (85% circa) in Europa. Per cui i dazi americani non mi toccheranno, ma toccheranno il mercato cinese che, per compensare, arriverà alla carica in Europa, con prezzi ancora più aggressivi e, quindi, ancora più a sfavore di aziende Europe-oriented come la mia. Se poi si aggiungono i dazi di cui nessuno parla…».

Altri dazi?

«La svalutazione del dollaro e del yuan rispetto all’euro sono una forma di dazio tacita, ma concreta».

E Silver1 come affronta la situazione?

«Al momento teniamo testa al mercato sia a livello di produzione, sia a livello di fatturato, grazie al marchio Valleverde che funziona e rappresenta il 60% del business, pari a circa 18 milioni di euro di fatturato nel 2024. Ma siamo in balia degli eventi».

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